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LA SPOSA PERSIANA 171
E quel più si distingue fra noi, che ha più fortuna,

Quel che ha gli onori in casa, e le ricchezze aduna.
Lo sai che il padre mio per Angli, Ispani e Galli,
Con le sue man pescava le perle ed i coralli;
Ei col denaro, a forza di sudori acquistato,
Mi ha questo pingue officio1 di finanzier comprato;
Ed io per le gabelle, esposto a gente ardita,
Mille soffersi ingiurie, ed arrischiai la vita.
Or tu, che unico sei d’ogni mio bene erede,
Cui, dopo me, comprata ho la medesma sede,
Tu, ingratissimo figlio, anzi che sollevarmi,
Con onte e con insulti vorrai precipitarmi?
Sai pur che ogni pretesto serve al Giudice avaro,
A togliere in Oriente le cariche e il denaro.
E sai che facilmente soggetto è a tal periglio
Anche il padre innocente, per le colpe del figlio.
Tu minacciar la sposa? Tu con il ferro in mano,
Minacciar la figliuola del terribile Osmano?
Sai tu qual pena avresti, se incauto l’uccidevi?
(E ucciderla pur troppo, s’i’ non venia, potevi).
Ecco la legge: un reo, che abbia talun svenato,
Conducesi da’ schiavi al tribunal legato;
Fatto il processo in breve, confesso, ovver convinto,
Consegnasi ai parenti dell’infelice estinto;
Ed essi, con tormenti inusitati e strani,
Dell’uccisor nel sangue si lavano le mani.
Anche le donne stesse, per legge altrui celate,
Sono per tai tragedie in libertà lasciate:
Con l’ugne e con i denti straccian le carni e i crini,
Avide di vendetta, fiere più de’ mastini.
Di’, che ti pare? Ircana merta d’avere il vanto,
Che il suo signor per lei s’accenda, e arrischi tanto?
Tamas. Posso parlar, signore?
Machmut.   Parla, sì, tel concedo.

  1. Ed. Zatta: uffizio.