Ircana. Sì, lo spero; tu mi ami, e so che di te niuna
Brama più del mio cuore la pace e la fortuna.
Curcuma, è questi il giorno d’usar l’ingegno e l’arte,
Per esser con il tempo d’ogni mio bene a parte.
Anzi con questa gemma, che Tamas mi ha donata,
Una d’amor vuo’ darti caparra anticipata.
Custode delle donne sei per l’etade in pregio,
Dal Signor nostro intesi lodar più d’un tuo fregio.
Tu puoi del di lui cuore spiar gli occulti arcani:
Per madre mia ti eleggo, io son nelle tue mani.
Curcuma. Figlia, perchè lo merti, al desir tuo m’unisco,
Non già per questa gemma, che per amor gradisco;
E se le mie parole, e i cauti miei consigli
Non basteranno, e i’ veda all’amor tuo perigli,
Di pentole e di vetri piena ho la stanza mia:
Zitto, Ircana figliuola, faremo una malìa.
Una malìa faremo sì forte e portentosa,
Che strugga in pochi giorni e l’amante e la sposa.
Ircana. No l’amante.
Curcuma.5 Sta cheta; l’amante sino a tanto,
Che della nuova sposa viva giulivo a canto;
Indi fedel tornando sia d’ogni mal guarito,
D’esserti impaziente, non più signor, marito.
Ircana. Hai tal poter?
Curcuma. Sì, cara, vedrai portenti strani;
Vedrai quel che san fare di Curcuma le mani.
Dacché l’età primiera mi abbandonò, tre lustri
Amar mi feci ancora con sughi ed erbe industri;
Con serpi, sangue e pietre certa bevanda fassi,
Che innamorar farebbe anche le pietre e i sassi.
Dell’oro e dell’argento vi entra in cotal mistura:
Averne, quando1 puoi, dal tuo signor procura;
Recalo alle mie mani, e ne vedrai l’effetto.
Figlia, senza interesse l’amor mio ti prometto, parte
- ↑ Ed. Zitta: quanto.