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134 | ATTO PRIMO |
SCENA IV.
Ircana sola.
Per l’unico fra’ beni, che a noi sperar conviene.
Donna fra’ Maomettani, sia schiava, o sia consorte,
Deve qual rea cattiva viver tra ferree porte;
E rendersi può solo il carceer men penoso
Dall’amor di colui che è signor nostro, e sposo.
Ma se l’amor d’un solo si parte in più donzelle,
Essere non mi basta nel numero di quelle;
Anzi pria di vedermi con altre donne amata.
Voglio essere più tosto1 o morta, o disprezzata.
SCENA V.
Carcuma e detta.
Non vieni questa mane a pulirti, a lisciarti?
Perchè prima di tutte uscir dal bagno fuori?
E andar per il serraglio senza unti, e senza odori?
Se il tuo Tamas ti vede, oh sì, gli parrai bella!
Con questi giovinotti vi vuol arte, sorella:
Sono le tue compagne lisciate come specchi,
E tu senz’artifizio accorto ti apparecchi?
Ircana. S’adorni, e si profumi, e s’unga, e si colori
Chi di natura ha d’uopo di corregger gli errori.
Incolta, qual mi vedi, sparuta, e senza incanto,
Tamas finor trattenni, nè mai gli piacqui tanto.
Sì, Curcuma, tel dico, ora gli piacqui a segno,
Che d’esser di me sola prese il più saldo impegno.
A te fido l’arcano; son lieta, e son contenta,
E la temuta sposa or più non mi spaventa.
- ↑ Ed. Zatta: piuttosto.