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130 ATTO PRIMO
Alì. Tamas, il mio consiglio...

Tamas.   Vattene, io non l’ascolto.
Alì. Vado, ma prima udite i sensi d’uno stolto;
D’uno che in fretta in fretta vi dice il suo pensiere,
E l’oppio a digerire sen va sull’origliere.
Vi lodo, se costanza v’empie per una il petto;
Ma in Oriente non si usa preferirla al diletto.
Chi assicurar voi1 puote, che Fatima, la sposa.
Non abbia agli occhi vostri a comparir vezzosa?
Chi sa, che nel mirarla non siate anche pentito
D’aver troppo tardato ad esserle marito?
Miratela, e poi dite: oh la mia schiava è bella;
Ircana sol mi piace, non voglio altro che quella;
Almeno sospendete di dir che v’hanno ucciso,
Fino che non vediate la nuova sposa in viso.
Astrologo non siete; chi sa come sia fatta?
Di Tartare e Giorgiane bellissima è la schiatta.
Tartaro è il padre suo; in Ispaan dimora.
Ma serberà la figlia il natio sangue ancora.
Miratela con pace. Quest’è il consiglio mio:
Tenetela, s’è bella, se non vi piace... Addio, parte

SCENA II.

Tamas solo.

Quest’ultime parole non son d’ebrio, o di stolto;

Ragion trovo in que’ detti, e la ragion m’ha colto.
È ver, m’accese Ircana d’amor quasi improvviso:
Ma non mirai finora d’altra più bella il viso.
Noi non godiam quel bene, che agli Europei vien dato;
Donna mirar non sua, è al Maomettan vietato.
Itali, Galli, Ispani, Angli, Germani e Greci
Non pon, qual noi possiamo, otto tenerne, o dieci;
Ma per le vie scoperte mirarle a cento a cento,

  1. Ed. Zatta: ci.