Non vi darò consigli, non vi sarò molesto;
Altro da voi non bramo.
Tamas. Altro non vuoi?
Alì. Che questo.
Tamas. Sai tu che il padre mio sposa mi ha destinata
La figliuola di Osmano?
Alì. Ella era appena nata,
E voi d’un lustro appena; senz’ara e senza Nume
Foste legati insieme, giusta il Perso costume.
Tamas. Empio costume e rio, che il maggior ben ci fura,
Che toglie a noi l’arbitrio, e offende la natura.
Ecco, amico, la fonte del mio dolore 1 estremo;
La sposa oggi s’aspetta, l’ora s’appressa, io tremo.
Alì. Ed io, ridete, amico, ed io sarei contento,
Non se una sola sposa aspettassi, ma cento.
Tamas. Vanne, lo dissi, il veggio, hai la ragion perduta.
Alì. Vado... È brutta la sposa?
Tamas. Non so, non l’ho veduta.
Sai pur, che le fanciulle serbansi ritirate,
E scopronsi allo sposo dopo esser maritate.
Ma tu deliri, vanne.
Alì. Un’altra cosa sola.
Tamas. Teco non vuo’ parlare 2.
Alì. Udite una parola.
Tamas. Che sofferenza! Parla.
Alì. Fra l’ebrio e fra l’astuto
Vuo’ domandarvi: avete forse il cor prevenuto?
Tamas. Ah sì, d’Ircana mia, della mia schiava acceso,
Soffrir non potrò mai d’un altro nodo il peso.
Nel rimirarla intesi tosto ferirmi il petto,
E crebbe a dismisura in sei lune l’affetto.
L’alma quei suoi begli occhi a vagheggiare avvezza,
Odia d’ogni 3 altra il nome, ogni beltà disprezza.
- ↑ Ed. Zatta: dolor.
- ↑ Edd. Pasquali e Zatta: vo'.
- ↑ Ed. Zatta: d’ogn’altra.