...Lo stesso cor di Bellisario ancora.
(siede su l’ultimo gradino del Trono
. . . . . . . . . . . . .
...E cieco è quel che di fortuna al riso
Troppo s’affida, e il suo variar non teme.
Della mia dura cecità presente
Fu ben quella maggior, quando infelice
Gl’inganni della Corte io non vedea;
Che di questa cagion fu quella al certo.
Apprenda ogni mortal dal mio destino
Che chi serve a’ Monarchi, o presto, o tardi,
Cieco render lo può l’invidia altrui, ecc.
. . . . . . . . . . . . .
Parmi di sentir gente.
Teodora. Ove mi guidi?
(condotta per mano da Giustiniano
Giustiniano. Vieni, che lo saprai ecc.
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . fissati in questo
Spettacolo funesto, e poi richiama
A consiglio del cor gl’indegni affetti.
Teodora. Come, Signore, a me? ecc.
. . . . . . . . . . . . .
Giustiniano. ...Dell’innocenza tua certo mi rendo.
Teodora. (Qual stravaganza è questa?)
Bellisario. O care voci,
Delle stesse mie luci assai più care; ecc.
Giustiniano. Specchiati in questi lumi, osserva, ingrata,
Il primo Eroe del mio temuto Impero
Cieco reso così per una cieca
Tua tiranna passion. ecc.
. . . . . . . . . . . . .