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Indi da grosse mura intorno cinta,

E di Torri munita in ogni lato.
Parea, che ad atterrarla in van s’andasse.
Ma non s’andiede in van, che in vano mai
Pugnan di Giustinian l’armi gloriose.
Tosto corriamo ad assaltar le mura,
E con machine, scale, et altri ordigni,
Si squoteano (sic) sovente ancorchè forti,
Ed a’ grand’urti al fin cadeano a terra.
Io ridir non potrei quanti l’irato
Popolo sovra noi fieri stromenti
Precipitò. Cadeano i tuoi fedeli
O dai sassi, o dal ferro, oppressi, uccisi;
Ma la caduta lor servia di scala
Ai vivi assalitori, onde quei prodi,
E vivendo, e morendo, erano sempre
Delle vittorie tue degno stromento.
Superate le Mura, entriamo arditi,
E col ferro alla mano in ogni lato
Facciam (sic) rivi di sangue. Alzan le grida
Al Cielo i Cittadini, e a me devoti
Dell’aggressa Cittade offron le chiavi.
Chiedo il Re prigioniero, ei volontario
Corre alle sue catene, e tutti a un tempo
Li amici suoi sono fra’ lacci avvinti;
Chieggono in don dal braccio mio la vita,
Grido ai nostri: fermate, e si sospenda
Il furor militar; ma chi potrebbe
Frenar sì tosto l’impeto di quelle
Inferocite spade? In breve tempo
Tanto fero di stragge (sic) e di rovina,
Che Tauris di Città serbava appena
L’effigie antica, era una tomba il resto.
Le donne, i Vecchj e i pargoletti ancora
Nella stragge comun cadero (sic) estinti.