Vincemmo, è ver: ma la vittoria è frutto
Dell’armi tue, non del mio braccio. A queste
Fastose insegne, al nome tuo glorioso
Ogni più fiero orgoglio invan resiste.
Vincer senza veder solito fregio
Fu de’ Cesari sempre, e ovunque andaro
Le genti tue sempre in tuo nome han vinto.
Questo Carro pomposo, e questi applausi
Non si devono a me. Ma s’alcun merto
S’acquistò il mio servir, di questa sola
Grazia, Signor, ti priego: a tanto fasto
Toglimi, e questa fia la mia mercede.
Giustiniano. Scendi pur, Bellisario. A’ merti tuoi
Altro dono s’aspetta, altra mercede.
Narsete. O magnanimo Eroe.
Filippo. (A qual maggiore
Gloria costui destina il Greco fasto?)
(Bellisario scende dal Carro, Giustiniano scende dal Trono, e s’incontrano. Il Carro si ritira.
Giustiniano. Vieni, mio dolce amico, e in queste braccia
Del sincero amor mio ricevi un pegno.
Oggi li omaggi suoi Bisanzio altera
Fra Bellisario e Giustinian divida.
Son due corpi ed un’alma, ed un sol core
Con reciproco amor vive in due petti.
Ma ciò non basta. Oggi Bisanzio adori
Due Monarchi in un Soglio. Amico, andiamo,
Quel Trono alfin che sostenesti, ascendi,
E lo Scettro difeso or meco impugna.
Narsete. È giusto premio al tuo valor dovuto.
Filippo. (A tanto onor sale il nemico, e taccio?)
Bellisario. Cesare, per pietà, s’è ver che m’ami,
Scema le grazie tue. Basta al mio fasto
L’onor dell’amor tuo; d’altro non curo.
Lo Scettro, il Trono e le regali insegne