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52 | ATTO TERZO |
Belisario. Io lo formai.
Giustiniano. A chi scrivi?
Belisario. Ad Antonia.
Giustiniano. E come ad essa
Parli di sposo?
Belisario. Io di Filippo intendo,
Che gode l’amor suo, cui la sua mano
O diè la infida, o dar destina un giorno.
Giustiniano. Quest’è quel cui serbasti e vita e pace?
Belisario. Tu il sai, signor, se ben due volte i lacci
Io gli ho spezzato e da prigione il trassi
Mercè la tua clemenza.
Giustiniano. (Ecco l’inganno.
È innocente l’eroe, più non v’è dubbio).
(da sè, contento
Troppo fosti pietoso ad un ingrato.
Tu nol conosci ancor, nè sai fin dove
Giungan le trame sue. La tua virtude,
Il tuo valor ha gran nemici in corte;
Ma dagli empi rubelli io ti difendo.
Belisario. I fulmini temer già non poss’io,
Se sotto a’ lauri tuoi vivo sicuro.
SCENA II.
Narsete e detti.
Spargesi per Bisanzio che minaccia
Io non so ben se a Belisario, ovvero
A te, signor, la morte. È sì confuso
Il loro favellar, che mal si puote
Scerner l’oggetto dello sdegno, e solo
Di vendetta si parla e di ruine.