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ENRICO 495

SCENA III.

Enrico, Matilde, Leonzio, Ormondo, Riccardo, popolo ecc.

Enrico. Oh Dei! potessi almen... Ma il popol tutto

In me fissa Io sguardo.
Matilde. (Ingrato Enrico!) (piange
Ormondo. Voi piangete1, Matilde? E donde nasce
La cagion di quel pianto?
Matilde.   Un tristo sogno
È la ria fonte ond’il mio duol deriva,
E sia larva o vision, m’empie d’orrore.
Enrico. Deh palesate a noi ciò che v’affligge!2
Matilde. Lo volete? Il farò3. Era in quel punto
Che divide dal dì la fosca notte
L’alba sorgente4; oh fatal punto! in cui
Chiara fassi la mente, e di future
Cose presaga, spesso adombra il vero.
Mi vidi presso un garzoncel gentile
Di verde etade, di parlar soave,
D’occhio vivace, i cui moti eloquenti
Tutta l’anima mia tenean sospesa5.
Mi tinsi di rossor, tremante, incerta,
Lo mirai sospirando: e co’ suoi vezzi
Tanto egli fe’ che alfin mi rese amante.
Se n’accorse lo scaltro, e per sedurmi,
Troni, scettri, corone, e quanto puote
Render felice un cor, tutto m’offerse.
Vieni meco, mi disse; e la sua mano
Porgendo alla mia man, seco guidommi
Per un calle fiorito all’alta cima

  1. Bett.: piagnete.
  2. In luogo di questo verso, si legge nell’ed. Bett.: “Leonzio Cotesto vaneggiar lascia a fanciulli„.
  3. Bett.: Udite il sogno, e giudicate allora — S'ò ragion di tremar ecc.
  4. Bett.: sorgendo.
  5. Bett.: Vidimi presso un di gentile aspetto, — Di verde etade, in ragionar cortese, — Che con l'occhio vivace e il bel crin d’oro — Tutta l’anima mia tenea sospesa.