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462 ATTO QUINTO
Dagl’inimici suoi, però mi finsi

Nemica sua, delusi i scellerati,
E quel foglio di man gli svelsi ad arte.
Rinaldo. Quando vi deggio!1
Armelinda.   Partirò, Rinaldo,
Per non cimentar troppo coll’affetto
La virtù che m’assiste.
Rinaldo.   È vero. Intesi
Che non si vince amor, se non fuggendo.
Carlo. il congresso si sciolga. Andiam, Rinaldo,
Che dal mio amor prove maggiori avrete.
Rinaldo. Ah! qual prova maggior dell’amor vostro,
Sire, sperar potrei? Molto donaste,
Più di quel che convenga ad un vassallo.
Basta, basta, mio Re: la mia innocenza,
L’onor mio, la mia gloria è quel tesoro
Che tanto io stimo, e che di vita assai
Più m’alletta e mi cale. Eccoci, o figlio,
Eccoci già coll’onor nostro in fronte
Splendido più che mai: deh, non cessiamo
Di coltivarlo. Hai tu veduto, o figlio,
Come facil smarrisce? Esser non basta
Innocenti col mondo; esserlo ancora
Dobbiamo con il Ciel: punisce il Cielo
Per impensate vie: punisce appunto
Col disastro maggior, non preveduto,
Quando irato è con noi. Deh, perdonate,
Se col figlio, Signor, troppo mi perdo:
Sono i figli dell’uom la maggior cura.
Se giunge un padre ad allevar sua prole
Amica di virtù, nemica al vizio,
Fortunato sen vive, e lieto muore.


Fine del Quinto ed ultimo Atto.

  1. Nelle edizioni del Settecento si legge: Quanto vi deggio, Principessa!