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RINALDO DI MONT'ALBANO |
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Che ancor non mi conosca, è di ragione
Ch’io conoscer mi faccia: l’onor nostro
Noi difender dobbiam quanto la vita:
Così vuole natura, e così impone
Legge sagra e civil. Dal terzo lustro
Io cominciai a maneggiar la spada
Per servir il mio Re: la prima volta
Che la faccia mirai degl’inimici,
Allora fu che di Pavia scacciammo
I Longobardi, ed io colle mie mani,
Che custodiano i franchi gigli, io stesso
Primo salii le mura, e il gran vessillo
Inalberai sulle nemiche torri.
Allora fu che in età verde ancora
Capitan fui creato, ed in mercede
Il fregio ebb’io di Paladin del regno.
Io guidai l’oste contro i Goti; io fui
Che dall’Italia i discacciai. Del Greco
L’orgoglio chi frenò? Chi fece Irene
In Oriente tremar? Di Gallia al trono
I Sassoni feroci e contumaci,
Ditemi, chi umiliò? Mercè de’ Numi,
Furo tutte mie imprese, e tante volte
Vinsi pel mio Signor, quante m’esposi
Al cimento per lui. Ma colla spada
Utile solo io non gli fui; col senno
Procurai di giovargli, ed è mio vanto
L’opra maggior, che assicurar poteo
Alla Francia la pace. “Io degl’invitti
“Venerabili d’Adria augusti padri
“Procurai l’amistà; la lor temuta
“Gloriosa potenza, all’armi nostre
“Felicemente unendo, agl’inimici
“Del popolo fedel recò spavento,
“E siami il ver di pubblicar concesso: