Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/400

396 ATTO SECONDO
Rinaldo.   Figlio, m’ascolta.

Quel che parla, è il tuo Re: quel che comanda,
È di Francia il Sovrano. A un rio ministro
Contrastar si poteva, ad un monarca
Rassegnarsi convien. Non è viltade
Cedere al suo signore: basta che il mondo
Sappia che fu il rispetto, e non la tema,
Che la man disarmò. Cedi quel brando,
Vieni incontro a’ tuoi lacci. Io tel comando.
Florante. (Opportuna virtù, dove la forza
Inutile sarebbe). (a parte
Ruggiero.   Ah! no, lasciate
Che impunito non vada...
Rinaldo.   Olà, rammenta
L’ubbidienza al cenno mio dovuta.
Cedi tosto quel brando. (imperioso
Ruggiero.   Eccolo: oh stelle!
Son prigionier, non v’è più scampo.
(getta la spada, ed entra nel castello
Gano.   Andiamo; (alli suoi soldati
Seguitemi, soldati. (entra nel castello co’ suoi soldati
Rinaldo.   Ah mio clemente,
Mio pietoso Signor, vi raccomando
L’infelice mia sposa: ella è di Francia
Femmina illustre; ella è innocente. (Oh Dio!)
Difendetela voi.
Carlo.   Partite. Altrove (alle guardie
Sia condotto poc’anzi il prigioniero.
Rinaldo. Come! Odioso tanto è a voi Rinaldo,
Che ascoltarlo v’è pena? E nol degnate
D’uno de’ vostri sguardi? Io tutto soffro,
Tutto incontro per voi; ma finalmente
Se vi chiedo ragion del vostro sdegno,
Non potete negarmi il don funesto
Di rinfacciarmi le mie colpe. Ah! Sire,