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don Giovanni Tenorio, e il tradimento della Passalacqua gli suggerì il desiderio di vendicarsi sulle scene stesse del teatro. Nella tragicommedia goldoniana la parte comica è rappresentata quasi interamente dai personaggi di Carino o Carlino, ossia il dottorino Goldoni, e da Elisa, ossia l’attrice napolitana Elisabetta D’Afflisio detta Passalacqua, “giovane spiritosissima” che cantava, ballava, recitava in serio e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera”, “donna la più scaltra, la più fina, la più lusinghiera del mondo” (vol. I, pag. 112) di cui si ricordò per tutta la vita il creatore di Mirandolina. L’episodio, corrispondente in parte a quello di Carlotta e Pierrot nel Convitato di Molière, e di Aminta e Patricio nel testo spagnolo, occupa quasi per intero il secondo atto e riprende poi nelle ultime scene del terzo e del quinto. Benchè l’autore in quella falsa veste poetica apparisca quanto mai goffo e impacciato, qui spunta, libero da modelli e da altri impacci, Carlo Goldoni, cioè un primo indizio del futuro scrittore comico, nella pittura del carattere femminile. Quando il nostro Carlino, smesso il paludamento tragico che aveva indossato per compiacere l’amico e attore Casali, troverà la sua via, l’astuta Elisa diventerà, nell’opera lenta della creazione artistica, la Locandiera. Ma occorrono quasi vent’anni di esperienza e di prove. Intanto fin d’ora il dottorino veneziano si avvia naturalmente verso la commedia e il pubblico del teatro di San Samuele applaude. Non c’è dubbio che se il Dissoluto o, come lo chiamavano impropriamente i comici, il Nuovo Convitato (v. anche una lettera del Vitalba pubblicata da Aldo Ravà nel Marzocco, 20 luglio 1013), si potè ripetere per più sere e chiuse il carnovale del ’36 (Mémoires, Partie I, ch. 39), il merito maggiore si deve all’episodio di Elisa Passalacqua. - Pochi mesi dopo il Goldoni sposava a Genova la Nicoletta.
Soltanto la bravura degli attori salvò per qualche tempo il Dissoluto che lo stesso autore giudicava indegno della stampa. Può darsi che tornasse qualche volta sulle scene, come si legge nella lettera di dedica al Grimani, ma furono recite sporadiche di nessuna importanza: pare lo recitasse qualche volta il Medebach (per es. a Modena, nel 1754: v. Modena a C. Goldoni nel 2.° centenario dalla sua nascita, Modena, 1907, pag. 327); ma ignoro se il Dissoluto rappresentato per due sere nel teatro di San Salvatore (o San Luca), nel carnovale del 1765, fosse proprio di Goldoni (Diario Veneto, n. 28). Tutti quelli che scrissero più tardi in Italia sul teatro goldoniano, trascurarono questo misero tentativo e fecero bene. Fece male il Rabany a indugiarvisi per il solito confronto con Molière, e per scoprire l’imitazione dell’Aminta e del Pastor fido nell’episodio della Passalacqua e del Goldoni (C. G., Paris, 1896, pp. 263-267). Voler poi cavare dal Dissoluto, che risente tutta la fretta dell’improvvisazione e l’ingenuità dell’inesperienza giovanile, dei giudizi generali sull’arte goldoniana, parmi errore grave e manifesto. Troppo a lungo ragionò anche Maria Ortiz sul fascino della leggenda dongiovannesca che il Goldoni sentì o non sentì (Il canone principale della poetica goldoniana, Napoli, 1905, pp. 77-78). E invano il Farinelli rimpianse che il Gozzi, autore delle Fiabe, non ci donasse lui, invece del Goldoni, il Don Giovanni con la statua che cammina e che parla (Giornale Storico, l. c., pag. 74). Non è vero che Carlo Gozzi fosse “meno ragionatore e calcolatore, più