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ed inedite, Venezia, Zanardi, 1802, t. V, pag. 28. - Vedasi anche Goldoni nella commedia che ha per titolo Il Teatro Comico, atto I, sc. II; e infiniti altri. Si vedano pure gli aneddoti ricordati da Corrado Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII, Bologna, 1888, pp. 57-59, 449 e 465. Col Convitato solevano chiudere le compagnie comiche il corso delle proprie recite: v. Polcastro cit. da G. Mazzoni, Abati, soldati ecc., Bologna, 1924, pag. 225).
Ma fin dai primi mesi del 1658 l’attore italiano Domenico Locatelli, detto Trivellino, recitava sulle scene del Petit-Bourbon a Parigi un Convitato di pietra; e l’anno stesso, nel novembre o dicembre, l’attore francese Dorimon recitava a Lione un suo Festin de Pierre che stampava nel ’59. Nel 1659 anche Villiers, attore dell’Hôtel de Bourgogne, compose e rappresentò un altro Festin de Pierre, stampato l’anno dopo. Lo “scenario” des Italiens che serviva alle recite di Domenico Biancolelli (successore del Locatelli), detto in Francia Dominique, e le due opere di Dorimon e Villiers, fra le quali non vi ha gran differenza, ripubblicò di recente con introduzione e note G. G. De Bévotte (Paris, Hachette, 1907. Sullo scenario di Biancolelli, che presenta molte reminiscenze del Convitato attribuito al Cicognini, v. pure L. Moland, Molière et la Comédie Italienne, Paris, 1867, ch. XV). Si capisce come negli scenari italiani acquistasse grandissima importanza il servo di don Giovanni, lo zanni caro al pubblico, sotto il nome di Passarino o Trivellino o Arlecchino o Truffaldino, il quale diventò il vero buffonesco eroe del dramma. Anzi il contrasto fra la gaiezza triviale e il terrore del castigo finale commoveva diversamente ma profondamente la grande massa degli spettatori, come ben osservava il Goldoni (L’Autore ecc.).
Snaturato così dai nostri attori quello che in origine era quasi un dramma religioso, si adattò docilmente alla fantasia di chi volle (v. De Bévotte, La légende cit., ed. 1911, I, 74) e ne sorsero nuove creazioni. Il Don Giovanni di Dorimon e di Villiers non è più, infatti, un semplice conquistatore di donne, ma “un libertino dello spirito, che si rivolta con violenza contro tutte le idee, contro tutti i sentimenti della folla, contro tutte le leggi umane e divine” (De Bévotte, l. c., pag. 66). Nell’ultimo atto di Villiers, dice De Bévotte, “il carattere di don Giovanni raggiunge una grandezza drammatica. L’eroe ingaggia la lotta contro il cielo con furor disperato” (pag. 72).
Venne a questo punto il Molière (Dom Juan ou le Festin de Pierre, 15 febbr. 1665), che non conobbe, sembra, il Burlador spagnolo, ma attinse allo scenario di Biancolelli, a Dorimon, a Villiers, e riempì non di leggerezza bensì d’egoismo e di cattiveria il fondo del carattere di don Giovanni (De Bévotte, 114), e del suo potente realismo il dramma. Il suo eroe “ama di far soffrire, gode degli scandali che provoca” (pag. 127), come nel Settecento il Valmont di Laclos; “corrompe tutto quello che tocca” (pag. 127), come il Casanova; in lui “la voluttà è senza tenerezza e senza effusione” (pag. 126): sopra tutto poi si distingue per il suo ateismo, per l’empietà dello spirito (pag. 133). Poichè questo strano e imperfetto capolavoro, che ha tanti difetti e attrae sempre più la curiosità e l’ammirazione, servì a Molière, insieme col Tartufo, per la sua battaglia contro tutti gli ipocriti.
Lo scandalo suscitato da certe espressioni costrinse l’autore dopo quin-