Porger di sposo.
Donn’Anna. Scellerato! A tanto
Vi avanzate voi meco? Ed io vi soffro?
E voi, signor, d’un mentitor gli accenti
Mi obbligate ascoltare?
D. Alfonso. Il fine intendo
Delle vostre contese.
D. Giovanni. Oh generosa,
Oh pietosa donn’Anna! Al padre vostro
L’ira sagrificar piacciavi, o bella,
Non il sangue d’un reo che pietà chiede.
Queste lacrime mie dal duol spremute
Di vedervi per me dolente e mesta,
Del pentimento mio vi faccian fede.
Deh non siate crudele... (s’inginocchia
Donn’Anna. Al Re dovete,
Non di femmina umil gettarvi al piede.
D. Giovanni. Ah no! dal suol non sorgerò, se pria
Da’ labbri vostri il mio destin non esca.
Pronunziate, crudel, la mia sentenza:
Condannatemi voi, ch’io son contento.
Donn’Anna. Sorgete, dico. (Ahimè! qual fiero incanto
Formano sul mio cuor le sue parole!)
D. Giovanni. (Comincia a impietosir). Su via, togliete
Dal dubbio cuor dell’avvenir la pena. (sorge
Eccovi don Alfonso: a lui spiegate
La vostra crudeltà. Morir son pronto,
E comunque a voi piaccia. Almen placate
Col sangue mio del vostro cuor lo sdegno.
Un sol dono vi chiedo, e poi contento
Vado a morir. Volgete a me Io sguardo,
Un momento soffrite i mesti lumi
D’un che muore per voi. Può chieder meno
Dalla vostra pietade un infelice?
Donn’Anna. Mi chiedete uno sguardo? Ed a qual fine?