Che propor mi potrà, che non sia parto
Del suo perfido cuor?
D. Giovanni. Pietà, donn’Anna,
Eccomi a’ vostri piè; da voi dipende
La mia vita non men che l’onor mio.
Morto voi mi volete? Ecco il mio seno,
Trafiggetelo voi di vostra mano.
Meglio l’ira saziar così potrete,
Ed io morrò, senza lo sfregio almeno
D’una pubblica pena. Ah rammentate,
Che amor cieco mi rese, e che la fiamma
In que’ vostri begli occhi amore accese,
Onde il cuor m’arse; e che il mirarvi, o bella,
E starvi presso inosservato e solo,
E non languire e non bramar mercede,
Impossibil si rende. A un disperato
Per le vostre ripulse e chi poteva
Porger freno o consiglio? A provocarmi
Venne in mal punto il genitor... Ma invano
Scuse vo proponendo al mio delitto.
Sono reo, lo confesso, io morir deggio;
Nè per serbar quest’odiosa vita
Mi vedete prostrato. Ah, sol vi chiedo
Per pietà, se pietade in cuore avete,
Che vi caglia serbar, se non la vita,
L’onore almen d’un sventurato amante.
Donn’Anna. Perfido! l’onor vostro a me chiedete;
E il mio, contro di cui tentaste insulti,
Chi difender potrà dall’ombra indegna?
D. Giovanni. Risarcir lo potrebbe... Ah, folle io sono!
L’impossibil mi fingo, e al vostro sdegno
Nuovi stimoli aggiungo.
Donn’Anna. Via, seguite:
Qual sarebbe il disegno?
D. Giovanni. A voi la destra