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338 | ATTO QUINTO |
Vantati pur d’aver schernita e offesa
Una semplice donna. Il ciel, ch’è giusto,
Farà le mie vendette.
Elisa. (Ei parla in guisa
Che non sembrami stolto). (a don Giovanni
D. Giovanni. (E tale, il giuro;
Ma favelli a sua voglia; andianne, o cara,
Gli amici a rinvenire, e al nostro scampo
Apran tosto la via). (ad Elisa, in aito di partire
D. Isabella. Fermati, indegno.
Se tu credi fuggire, affé t’inganni. (da sè
Elisa. (Il sospetto si accresce).
D. Giovanni. (Ah, qual fatale
Non atteso periglio!) (da sè) Andianne, Elisa...
(in atto di partire, e donna Isabella lo trattiene
O ti scosta, o ti sveno.
(a donna Isabella, ed impugna la spada9
D. Isabella. Io morir prima
Vo’ che partir; non mi spaventi, indegno.
(si pone in difesa
SCENA III.
Don Alfonso con guardie, e detti.
Tanto s’avanza l’ardir vostro? Audace!
Toglietegli quel brando. (alle guardie
D. Giovanni. (Ah, son perduto!)
D. Isabella. (Quando ti cangerai, sorte spietata!)
Deh ascoltate, signore... (a don Alfonso
D. Alfonso. In altro tempo
V’ascolterò.
D. Isabella. (L’empio per or non fugge). (parte