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DON GIOVANNI TENORIO 323
Tutte le mie ragion. Sciolgasi un nodo,

Che abborrisco assai più che morte istessa.
Vostra sia, non m’oppongo, e della fede
Che l’ingrata giurommi, a voi non caglia.
D. Giovanni. Cavalier non sarei, se i propir affetti
Superar non sapessi. A te la rendo;
Prendila, se t’aggrada; e ti rammenta
Cauto celar ciò che svelar non giova. (parte

SCENA XIII.

Carino ed Elisa.

Elisa. (Ahimè! parte l’infido, e m’abbandona).

Carino, oh Dio!
Carino.   Sì, sì, Carino invoca.
Se ti veggo morir, più non ti credo.
Elisa. E tu pur m’abbandoni?
Carino.   Almen son lieto,
Che vendetta farò de’ torti miei.
Elisa. Gl’infelici oltraggiar è un’empietade.
Carino. E il mancare di fè sarà virtude?
Elisa. Morirò disperata.
Carino.   Ancor fìngesti
Di volerti ferir; fallo davvero.
Elisa. E avrai cuor di mirarlo?
Carino.   E il braccio mio
Ti presterò, se il tuo bastar non puote.
Elisa. Ah sì tosto cangiata hai la pietade
In barbaro rigor?
Carino.   Sì, qual tu stessa
Per amante novel cangiasti il cuore.
Elisa. Stelle! che far degg’io?
Carino.   Fa ciò che brami.
Fa tutto ciò che un disperato cuore