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314 | ATTO TERZO |
Nè ragion, nè dovere. A un mentecatto
Volete voi prestar orecchio? E quale
Fama sperate conseguirne al fine?
Se vinto rimarrete, avrete il danno;
Se vincitor, dir v’udirete in faccia,
Che lieve cosa è vincere uno stolto.
D. Isabella. Stolto non sono; a vendicarmi intendo1.
Commend. Io del Re mio signor v’impongo in nome,
Desister dalla pugna. Il regio sdegno
Intimo a voi, se d’ubbidir sdegnate.
D. Isabella. Venero il regio nome: ad un tal cenno
Depongo il ferro, e l’ira mia sospendo.
Tempo verrà che il traditore indegno2
Pagherà col suo sangue i torti miei. (parte
SCENA VII.
Il Commendatore, Don Giovanni, poi Don Alfonso, il Duca Ottavio e guardie.
Non vo’ tardar di presentarvi ai piedi
Del mio Signor; venite meco; io spero
Grato rendermi a lui per sì bel dono.
D. Giovanni. Dalla vostra bontà sperar non posso
Che benefici effetti.
Commend. Io mi rammento
Di quanto il vostro genitore illustre
Fece un tempo per me. Quanto ha perduto
L’Italia in lui! Della sua spada ancora
Si rammentano i Mori... A noi sen viene
Don Alfonso, del Re ministro e amico,