Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
308 | ATTO TERZO |
Scopre gl’inganni suoi. Non voglio il Duca
A un nodo violentar, ch’egli abbonisce;
Ami pure a sua voglia; io gliel concedo.
D. Alfonso. Troppo presto, donn’Anna, al van sospetto
Vi abbandonate. Era miglior consiglio
Rispettar il mio cenno.
D. Ottavio. (L’ire sue
Non son figlie d’amor).
D. Isabella. A torto, amica,
Voi di me sospettate. Il Duca vostro
Oggi solo vid’io. Pietà lo mosse
A prestarmi soccorso, e non amore;
Lo giuro al ciel.
Donn’Anna. Sì, crederollo a voi,
Che degli inganni suoi complice siete.
Non si scolpa l’amante, e non si cura
Il sospetto sgombrar dal seno mio.
E qual prova maggiore aspettar deggio
Della sua indifferenza, anzi dell’odio,
Onde il mio cuor, onde il mio volto abborre?
Grazie, o numi del ciel; scopersi il vero.
Parto per non mirarlo. (A tempo io colsi
L’opportuno pretesto all’odio mio). (parte
SCENA III.
Don Alfonso, il Duca Ottavio e Donna Isabella.
Disingannarla, e renderla placata.
D. Ottavio. Come ciò far potria? Non vidi mai
Femmina più leggera e men prudente.
D. Alfonso. D’un forte amor la gelosia è compagna.
D. Ottavio. Di sì tenero amor poco son pago.