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306 ATTO TERZO
Ch’ei predica sventure, ed ai temuti

Palpiti non intesi il ben succede.
Donn’Anna. Lasciate pria che come Duca il vegga,
Anzi che accodo come sposo.
D. Alfonso.   Ei viene;
Non gli siate scortese. Abbian cotesta
Prova da voi d’ubbidienza almeno
L’amico, il padre, il Re.

SCENA II.

Il Duca Ottavio, Donna Isabella da uomo, e detti.

D. Ottavio.   Signore, un cenno

Del monarca clemente a voi mi guida.
D. Alfonso. Ecco il regio voler. Questa è donn’Anna,
Che in isposa vi elesse.
D. Ottavio.   (Aimè! Che sento?
Donna sposar per cui d’amore in vece
Avversione ha il cuor?)
Donn’Anna.   (Lieto non parmi).
D. Alfonso. Appressatevi, Duca, e il labbro vostro
Del vostro amor la vaga sposa accerti.
D. Ottavio. Donn’Anna, il mio signor di me dispose:
Venero il cenno, e la mia destra io v’offro.
Donn’Anna. Signor, non deggio ricusar quel nodo,
Cui la reale autorità prescrive.
D. Alfonso. Signor, più caldi gli amorosi accenti
Sperai udir d’una donzella in faccia. (al Duca
D. Ottavio. In più teneri sensi io non saprei
Scioglier la lingua al dolce amor non usa.
Donn’Anna. Vi dispenso, signor, da quello sforzo
Che costarvi potria soverchia pena.
D. Alfonso. Duca, chi è il cavalier che con voi miro?
D. Ottavio. Questi, o signor... Ma tal arcano io deggio