Carino. Passato è alla città?
Elisa. Sì; di Nerina
Andò a vendere i fiori.
Carino. E seco il cuore
D’Elisa si portò.
Elisa. Come?
Carino. T’accheta.
Tutto so, tutto intesi. Empia, mendace,
A me invano ti celi.
Elisa. Aimè! Carino
Meco parla così?
Carino. Parla in tal guisa
Il tradito Carino alla spergiura.
Dimmi, crudel, non ti sovvenne allora
Di quella fè, che a me giurasti? Ingrata!
Non sapesti un sol giorno esser costante?
Elisa. Odimi... Non pensar...
Carino. Taci, non voglio
Udir le voci tue. So che vorresti
Con lusinghe mendaci un nuovo inganno
Tessere alla mia fede. Ah, s’io porgessi
Nuovamente l’orecchio a tai menzogne,
D’esser allor meriterei tradito.
Elisa. (Più nasconder non posso il fallo mio).
Ah Carino, mia vita! è ver, pur troppo;
Lusingarmi volea quel che vedesti
Ardito cavalier. Pietà mi mosse
Verso di lui, che dai ladron spogliato
Chiedea soccorso; indi la destra in premio
Di mia pietade il cavalier m’offerse;
E con vezzi, e lusinghe, e con mill’arti
D’accorto cittadin, quasi m’indusse
A seco vaneggiar; ma mi sovvenne
Di te, Carino mio; costante e fido
Questo cuor ti serbai.