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296 ATTO SECONDO

SCENA V.

Carino solo.

Grazie al ciel, son partiti. Io non vorrei

Incontrarmi giammai con simil gente.
Cittadini? Alla larga. Hanno cotanta
Orgogliosa superbia, che lor sembra
Il misero villan selvaggia fera.
Noi lor prestiam col sudor nostro il pane;
Dalle nostre fatiche han quanto forma
Le lor ricchezze, e poi ci trattan peggio
De’ cavalli e de’ cani. Han per proverbio,
Che il villan è indiscreto. Oh sì, che dessi
Discretissimi sono! Il villan ruba,
Sogliono dire; e il cittadin non ruba
Molto peggio di noi?... Ma qui non veggo
Presso l’usato fonte il mio bel sole.
Elisa, dove sei? dove ti celi?
Nascosta si sarà per isfuggire
De’ cittadini l’odioso aspetto.
Vieni, non tormentarmi. Ah, ah, furbetta!
Tu se’ dietro quel faggio. Io t’ho scoperto...
Elisa mi pareva. Al colle forse
Andò per coglier de’ selvaggi frutti.
Al colle andrò... Ma già sen viene. Elisa,
Corri... Che miro? Un pastorello ha seco?
No, che non è un pastore. Ai rozzi panni
Rassembra tal; ma i finti crini ornati,
Il bianco volto e il camminare altero
Sono di cittadin sicuri segni.
Stelle, che mai sarà? Tradisce Elisa
Così tosto la fè? Qui mi ritiro.
Non veduto, vedrò. (si ritira