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228 ATTO SECONDO
Griselda.   Avea tal nome,

E le sembianze avea così gentili
L’uccisa figlia mia.
Oronta.   Povera madre!
Griselda. E il tuo sposo?
Oronta.   È Gualtier, re di Tessaglia.
Griselda. Ben ne sei degna; il mio fallace sogno
Fece in teneri modi al seno mio
Stringer la figlia, e la rivale abbraccio.
Oronta. Qual sogno?
Griselda.   Mi parea stringer dormendo
L’estinta figlia, e ne piagnea di doglia.
Oronta. Quanto son vani i sogni! E in quante guise
Con fallaci apparenze e lusinghiere
Tessono inganni alla ragion che dorme.
Non morì la tua figlia?
Griselda.   Ah, che l’uccise
L’empio rigor di barbaro destino.
E tu Oronta ben sei, ma non sei quella.

SCENA VI.

Gualtiero e dette.

Gualtiero. De’ tuoi bei sguardi è troppo indegno, o cara,

Questo rustico tetto.
Oronta.   Illustre e degno
La sua gentile abitatrice il rende.
Gualtiero. Anche qui vieni a tormentarmi, o donna?
Griselda. Deh perdona, mio Re; non è mia colpa.
Quest’è il povero mio soggiorno antico;
Rammentati che qui...
Gualtiero.   Taci, superba:
Le mie prime follie più non rammento.
Oronta. Se i prieghi miei del tuo favor son degni...