Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LA GRISELDA | 215 |
Che da lei chiedi, avresti. Oh quanto meglio,
Amarilli, di te dir lo poss’io,
Soffri in pace, mio ben, e ti consola,
Che se piangi per me, per te sospiro,
E che pari al tuo duolo è il mio dolore. (parte
SCENA III.
Bosco.
Griselda da ninfa, poi Artandro.
Torno a voi, piante amiche, aure dilette.
Qui veggo l’ombra e que’ solinghi orrori,
Che mi porsero un dì lieto riposo.
Ecco là il chiaro fonte, in cui sovente
Feci dell’acque sue bevanda e specchio.
Veggo il colle fiorito, il prato ameno,
E la valle vegg’io, dove gl’armenti
Nell’estiva stagion guidar solea.
Ecco l’albero mio, su cui più volte
Scrissi col dardo di Gualtiero il nome.
Già scemo di lontan l’angusto tetto
Ove nacqui, ove vissi i più felici
Giorni dell’età mia. Saravvi in esso
Il mio buon genitor; lui, che sprezzando
L’incostante fortuna e i di lei doni,
Meco non volle abbandonar l’antico
Rustico albergo. E che dirà di questa
Sventurata sua figlia? Ah rimembranze
Del perduto mio ben, deh non venite
La mia pace a turbar fra queste selve!
Oh Dio, Gualtiero! Oh Dio, Everardo! Oh Dio
Dolci nomi adorati, oh sposo, oh figlio!
Voi mi state nel cor, voi mi rendete