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208 | ATTO PRIMO |
Più a lungo i guardi tuoi, già parto: il cenno
Ubbidisco così del Signor mio.
Tu l’umana follia manda in obblio;
Che pria ch’io cangi dal mio sen l’affetto,
S’oscurerà nel suo meriglio1 il sole.
Nacqui, vissi, regnai, torno alle selve;
Ma nel regno, nel bosco, e prima e poi,
Caro mi fu dell’innocenza il pregio. (parte
Ottone. Non giovan le lusinghe. Oh da qui innanzi
Gioveran le minacce. E un’altra via
S’ha da tentar. Dalle ripulse appunto
Prende forza il mio amor, come dal lido
L’onda percossa più s’innalza e freme.
Non son quell’io che fa tremar gli audaci,
Se di femmina vil non vinco il core.
Faccia pur quanto sa, dovrà mal grado
Del suo strano rigor farsi soggetta
Del mio voler, o perderà in un punto
Per opra mia fama, consorte e vita. (parte
Fine dell’Atto Primo.
- ↑ Forse per meriggio.