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186 ATTO PRIMO
Gualtiero. Io negarlo non so. Passar da un fido

Tenero affetto a indifferenza o sdegno,
Non è facile impresa. E come puossi
Odiar senza ragion? Farsi nemico
Dell’oggetto più caro? Ah questa, Ottone,
Questa non è virtù, ma sconoscenza.
Ottone. Ti giustifica assai della Tessaglia
Il popolo commosso.
Gualtiero.   E così ardito
Osa il volgo impor leggi al suo sovrano?...
Ottone. Solo il volgo non è, ma i grandi ancora.
Gualtiero. Benchè grandi però son miei vassalli.
Ottone. Sì, ma forti, possenti, risoluti.
Gualtiero. Minaccian forse?
Ottone.   Io non so dir sin dove
Guidariali lo sdegno. Ormai son stanchi
Di mirar la metà di questo soglio
Occupato da donna abbietta e vile.
Gualtiero. Perchè tacer sinora?
Ottone.   Il lor silenzio
Fu rispetto per te.
Gualtiero.   Han dunque adesso
Per me perso il rispetto?
Ottone.   Ah no, mio Sire;
T’amano i tuoi vassalli, e per te sono
Pronti a spargere il sangue. Il solo1 zelo
Dell’onor del diadema, ed il periglio
Ch’ei cinger possa un successore indegno,
Destò in loro il pensier.
Gualtiero.   Mancagli forse
Successor dopo me degno del trono?
Everardo è mio figlio.
Ottone. E ver, ma insieme
Figlio di donna vil. Può ben del padre

  1. Nel testo, molto scorretto, dell’ed. Zatta, è stampato suo.