Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
148 | ATTO QUARTO |
Ferì l’orgoglio tuo di mia pietade.
Le leggi offese, l’amistà violata,
I neri tradimenti, i torti e l’onte
Fatte ad un re che la pietà profuse,
Reo ti fanno di morte. Io ti condanno.
Guizzi nel sangue suo la tronca testa.
Rosmonda. (Ahi sentenza crudel!) Germondo, osserva
In volto al padre mio...
Alerico. Taci, Rosmonda,
E se vuoi compensar le colpe andate,
Più non parlar. Lascia ch’a morte io vada.
Germondo. Stenon, vanne a Cratero. A lui fia noto
Ch’è mio voler che qui muoia Alerico;
Ei destini il ministro al fatal colpo.
Stenone. Obbedito sarai. (parte co’ suoi soldati
SCENA VIII.
Germondo, Rosmonda, Alerico.
Al carcere di nuovo. Ivi l’ingrato
All’ultim’ora si prepari. Eppure
Credimi, principessa, ancor io sento
Pietà di te nel condannarti il padre.
Rosmonda. Ah crudel, mi deridi...
Alerico. Il cenno mio
Non trasgredir. Soffri, Rosmonda, e taci.
Germondo. Io deriderti? Ah! no. Vedi s’io t’amo;
Vedi, bell’idol mio, se il ver ti dico.
V’è ancor tempo, Alerico. Ancor potrebbe
Rivocarsi il decreto. Ah cauto pensa,
Fin ch’hai tempo a pensar. Sarebbe ancora
Opportuno al tuo fato il pentimento;