Alerico. Di quell indegno
(a Germondo
Fidati pur. Per mia vendetta il cielo
Facciati riposar ne’ suoi consigli.
Stenone. Ecco il barbaro re; vorria crudeli
Tutti i sudditi suoi.
Germondo. Comprendo i moti
Dell’acceso suo cor.
Stenone. So che non suole
Preceder al servir premio o mercede,
Ma in tua bontà, ma in tua pietà fidando,
Grazia a te chiederò.
Germondo. Chiedila; io tutto
Soglio a tutti donar.
Stenone. Perdon imploro
D’Alvida al fallo. Ella sarà mia sposa
Se l’approvi, signor.
Germondo. Viva, e sia teco;
Se tua sposa la brami, a te la dono.
Stenone. Grazie alla tua pietà.
Germondo. Vedi, Alerico,
Quanto facile i’ sono a usar clemenza.
Morto Alvida mi volle: io le do vita;
Morto tu mi volesti, e ancor v’è tempo
Di pietà, di perdon.
Alerico. Pietà, perdono
Chieda chi è vil, non chi riserba in petto
D’Alerico il gran core.
Rosmonda. (Avverso fato,
Vuoi due vittime ancor del sangue nostro).
Germondo. Alerico, non più; troppo t’abusi
Della mia tolleranza. E chi mai fora
Atto a soffrir il tuo furore insano?
Giunta è l’ora fatal. Per questo solo
Qui ti feci condur: qui dove Attilio
Forse m’ascolta; e in testimon lo chiamo