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ROSMONDA 161
Alerico. Muori, ma non sperar con la tua morte

Soddisfar al mio sdegno, allor che porti
Nella tomba un amor di te non degno,
Odio vogl’io da te. Vuo’ ch’abborrito
Sia da te di colui perfino il nome,
Che orma non resti dell’immago odiata
Nel tuo cor avvilito, e allor potrai
Sperar ch’io t’abbia a richiamar mia figlia.
Rosmonda. Questo è troppo voler. Sai che talvolta
Arbitri non siam noi de’ propri affetti.
Alerico. Può ragion regolarli.
Rosmonda.   Ed io finora
Feci con la ragion forza a me stessa.

SCENA VI.

Stenone con seguito, e detti.

Stenone. (Ecco Rosmonda; ardir; trarrolla meco

Per trafiggerle il sen.) (da sè
Alerico.   Vassallo infido, (a Stenone
Dimmi, a che vieni?
Stenone.   A custodir Rosmonda,
A toglierla da te.
Rosmonda.   Chi ciò t’impone?
Stenone. Germondo, il nostro re.
Alerico.   Perfido, indegno!
E da qual fera mai tanta apprendesti
Orrenda infedeltà? Me non conosci?
M’abbandoni, m’offendi e mi dileggi?
Stenone. Finchè tu fosti re, fui tuo vassallo,
Ora del nuovo re vassallo io sono.
Questo è l’uso comun. Dall’uomo saggio
S’adora il sol nascente; ed è ben stolto
Quel che segue il destin degl’infelici.