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140 | ATTO QUARTO |
SCENA IV.
Cratero, poi Rosmonda.
Quanto strane follie! Tu l’ire accendi,
Tu le paci scomponi, animi i vili,
Avvilisci gli audaci, opprimi in seno
Le più belle virtù; sai di sedurre
Tutte l’arti più scaltre, e a chi si fida,
Lieta pace prometti e guerra apporti.
Di due giovani amanti, oh! come bello
Sembri, amor, fra le labbra! Oh! qual rassembra
Esser debba felice il caro nodo
Di que’ due ch’in due petti hanno un cuor solo!
Ma cambiato d’amanti in quel di sposi
L’uso, il nome, il desio, la confidenza
Degenera in disprezzo e spesso in odio,
Chè i difetti celati uso discopre,
E le fiamme consuma il tempo edace.
Cotesto è il fin di chi d’amor si pasce;
Io di lui non mi pasco, anzi l’abborro.
Rosmonda. Ah dimmi per pietà, Cratero amico,
Il genitor che fa? Vive? Respira?
O trafitto morì?
Cratero. No, no, Rosmonda,
Vive il tuo genitor; ma fra catene
Langue per tua cagion.
Rosmonda. Per sua cagione
Peno misera anch’io. La sua fierezza
Esser cruda mi fa contro me stessa.
Ma lieta soffro ogni tormento in pace,
Se il padre mio la mia costanza approva.
Cratero. Per poco ancora soffrirai dal crudo
Sì disumana legge.