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118 | ATTO SECONDO |
Ti conosco, t’intendo; una mercede
Offri tu al mio servir ch’io perderei
Per averti obbedita.
Alvida. Eh di’, codardo,
Che Rosmonda paventi, e in lei rispetti
Del tuo re l’empia figlia. Anima vile,
Questo dunque è l’amor che a me tu serbi?
Che vai tu mendicando in tua discolpa?
Che di me puoi sognar, che di Germondo?
Sol del mio cor per discoprir gli arcani
Tu fingesti d’amarmi: alfin scoperti
Mi deludi così? Va pur, spietato,
Svela altrui la mia mente, e fia tuo vanto
Una credula donna aver tradita. (vuol partire
Stenone. Ferma. (Oh Dei, che far deggio?) Ah non chiamarmi
Spietato, traditor. Ti amo pur troppo.
Se vedessi il mio cor, pietà n’avresti.
Ma il tuo cenno crudel...
Alvida. S’è ver che m’ami,
Il mio cenno ubbidisci, e di Rosmonda.
Porta nell’empio sen la mia vendetta.
Stenone. Sì, lo farò. Cadrà Rosmonda estinta;
Ma rammenta, idol mio...
Alvida. Gente s’avanza:
Torna asperso di sangue, e allor t’ascolto.
Stenone. (Ecco il misero re di sdegno acceso:
Fuggo il rossor di rimirarlo in volto). (da sè, parte
SCENA IX.
Alerico e detta.
Sempre non fuggirai dal mio furore.
Donna, chi sei?