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il merito consiste negli equivoci, e nell’intreccio": ma due cose aggiunse di suo, caratteri e verità (v. pag. 12). L’importanza dei ritratti nel gioco delle avventure amorose, sì nella letteratura romanzesca, sì nel teatro, è ben nota: fra gli scenarii di Flaminio Scala (Teatro delle favole rappresentative, Venezia, 1611) ce n’è uno intitolato appunto Il Ritratto (v. anche L. Moland, Molière et la comédie italienne, Paris, 1867, pp. 81 sgg.); fra quelli di Basilio Locatelli ben due si intitolano Li Ritratti (una "tragicomedia pastorale" e una "tragicomedia piscatoria"). Basta poi rammentare lo Sganarello o il becco immaginario (1660) di Molière, del quale abbiamo tra l’altro una imitazione italiana per marionette, L’equivoco dei due ritratti (P. Toldo, Nella baracca dei burattini, in Giorn. stor. lett. it. [1908] vol. LI, p. 13; e L’oeuvre de Molière, Turin, 1910, p. 543). Conservò l’"equivoco del ritratto" Giovanni Giraud nelle Gelosie per equivoco (1799), ispirate a Molière (v. pref. in t. II Commedie, Roma, 1808, p. 3).

Tuttavia il Goldoni non ricorre direttamente a nessuna fonte, bensì rimaneggia con mano esperta vecchi istrumenti ed elementi del teatro, anzi del suo stesso teatro, come vedemmo altre volte: i due ritratti hanno qui preso il posto del famoso ventaglio (v. vol. precedente). Nè certo sono nuove le disgrazie d’Arlecchino per non saper leggere (cominciando dal Servitore di due padroni, vol. I). — Se non mi illudo, dal canovaccio francese del Goldoni tolse in parte l’ispirazione dei Due biglietti (recitati sul Teatro Italiano ai 9 febbraio 1779) il giovane Florian, che anche nelle altre sue commediole o arlecchinate deriva qualche poco da Marivaux e un pochino dagli scenarii parigini del commediografo veneziano. Nel 1783 sullo stesso teatro si rappresentarono i Due ritratti di Desforges (un atto in versi), tolti, dice Jac. Enrico Meister, da un racconto di La Dixmene (Correspondance littéraire etc. par Grimm etc). Una imitazione del Ritratto d’Arlecchino additò Ferdinando Martini nei Portraits di Darvigny (v. Pel 2° Centenario della nascita di C. Goldoni - il Teatro A. Manzoni, Milano, 1907, p. 36).

Il pregio principale di questa piccola commedia da rappresentarsi "nelle società di dilettanti", come suggerisce l’autore (v. pag. 11), non consiste nello scambio dei ritratti, bensì nella pittura della timidezza dei due innamorati. Questa è arte viva ancora e sempre, come parve a Ferruccio Benini, il grande attore rimpianto, che nel 1907 aveva in animo di rimettere sulle scene gli Amanti timidi (v. La Maschera, anno III, 1907, n. 20, p. 14): qui rivive una nota di quel gaio spirito goldoniano che nessuno ha più ritrovato.

G. O.


Gli Amanti timidi furono stampati la prima volta a Venezia, nel tomo XVII del Pasquali (ultimo di tale edizione, rimasta interrotta) e uscirono fra il 1778 e il 1779. Si ristamparono poi a Bologna (Stamperia di S. Tommaso d’Aquino) nel 1790, con qualche piccola correzione, e a Lucca (Bonsignori, t. XX) nel medesimo anno. Di nuovo a Venezia li ristampò lo Zatta, nel 1792 (classe 2ª, t. XII), probabilmente sopra un’altra copia manoscritta del testo originale, se pure le lievi varianti non sono opera del correttore della tipografia stessa; e finalmente a Livorno il Masi (t. XXIX), nel 1793. — Noi abbiamo seguito con fedeltà il testo del Pasquali, correggendo qualche evidente errore di stampa, come fece l’edizione bolognese, e notando a piè di pagina le varianti dell’ed. Zatta.