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come afferma il Goldoni nelle sue Lettere (Masi. l. c., 203. 216); ecco Camilla, la gran Camilla Veronese, l’antica servetta, la vera, la viva serva che ha tanti nomi nel vecchio teatro italiano. Certe scene fra Camilla e Arlecchino. i due amanti timidi, piene di sentimento e di umorismo, si levano ancora fresche e ridenti a commuoverci, come nel dolce secolo che precorse la Rivoluzione. fra un’arietta metastasiana e una visione di Watteau. E l’ultimo riso di Goldoni nella commedia italiana.

Pochissimi de’ biografi e critici goldoniani ricordano gli Amanti timidi: taciuti e forse ignorati da quelli stessi che trattarono della efficacia della commedia dell’arte sul teatro goldoniano. Questa commediola, di cui pareva fare qualche conto l’autore, e se ne compiaceva anche nella prefazione, contento dello sforzo superato, subì una ingiusta fortuna. Il Meneghezzi li cita in confuso col Burbero e col Genio buono e il Genio cattivo (Della vita e delle opere di C. G., Milano 1827, p. 133); e così, molti anni dopo), Giulio Caprin, li ricorda accanto alla trilogia di Zelinda e Lindoro e però li trova, ma come mai? "indeboliti da una certa pretesa di sentimentalismo" ('C. Goldoni, Milano 1907, p. 292). Soltanto Maria Ortiz. accennando alla "fine, graziosa, garbata commedietta Le portrait d’Arlequin" (che pur troppo non conosciamo), aggiunse che "scritta, divenne Gli amanti timidi, un vero gioiello" (Il canone principale della poetica goldoniana, Napoli 1905. p. 51).

E, nel suo genere, è proprio così. Perfino qualche personaggio minore, come il burbero Anselmo, reso ridicolo dal suo intercalare (Schmidbbauer, Das Komische bei G.. Munchen. 1906. p. 160. ricorda Momolo in Una delle ult. sere di carn., Margarita e Lunardo nei Rusteghi, Mauro nell'Amante di se medesimo) o come il pittore Giacinto, graziosa macchietta goldoniana, serve con la sua comicità a tener desto il buon umore del pubblico. — Sentiamo un recente scrittore francese, Carlo Deiob: "Goldoni semble bien avoir pris Marivaux pour modele dans ses Amanti timidi où il n’atteint peis la finesse d’analyse de notre auteur, mais où il attrape fort bien ce que l’on pourrait appeler son pathétique voluptueux. Les interminables hésitations de la soubrette Camilla et du valet Arlecchino a s’avouer qu’ils s’aiment, sont moins vrasamblables que celles qui, dans Marivaux, retiennent des personnes de condition; mais Goldoni, lui aussi, les prolonge pour nous donner le plausir de voir leurs souffrances présentes et d’entrevoir leur contentement prochain. Ce ne sont plus simplement les scènes classiques de dépit amoureux où une colère avouée soutient les deux amants, c’est un malentendu qui les tourmente d’autant plus que chacun d’eux, par une raison différente, craint de le dissiper". E qui l’autore traduce una parte dell’VIII scena dell’ultimo atto; indi continua: "Ces personnages se rattachent a une catégorie d’êtres que Molière n’a pas représentés et qu’au contraire le dix-huitieme siecle a aussi souvent peints que nous: les ingenues" (Les femmes dans la comédie etc. Paris 1899, pp. 63-6:)).

IL Goldoni non fece mai il nome del Marivaux, nè mai attinse direttamente al suo teatro: questa volta sorge spontaneo il ricordo del fine commediografo delle "sorprese d’amore", benchè l’indole dei due scrittori, posti da vicino, appaia subito diversissima e non sia possibile insistere a lungo sul paragone. Quanto all’invenzione della favola, lo stesso autore afferma nella prefazione che "potrebbe passare per una Commedia Spagnuola; poichè tutto