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naio 1765 col titolo Gli amanti timidi o sia l’imbroglio de’ due ritratti (a dir vero, nel Diario Veneto, n. 25, il titolo è così: L’amanti timidi o sia i tre ritratti). Si replicò una sola volta. Nelle sue Memorie l’autore confessa: "Cette comédie en deux Actes, qui, sous le titre du Portrait d’Arlequin, avoit fait beaucoup de plaisir à la Comédie Italienne à Paris, ne réussit pas de même à Venise" (P. 3, cap, XI: v. anche l’Autore a chi legge). Diciamo subito che tutte le sei commedie mandate in quell’anno dal Goldoni a Venezia, precipitarono, senza dubbio per lo scarso valore e per la cattiva volontà degli attori. Tale avvenimento addolorò non poco il grande esule, e contribuì, insieme con le altre amarezze provate da parte dei comici a Bologna, ad allontanarlo definitivamente dal teatro italiano. Ai 3 maggio del ’65, tre mesi dopo il suo stabilimento a Corte come "maestro di lingua italiana per madama Adelaide primogenita del Re", scriveva all’Albergati: "Per l’Italia sono legato col Vendramin, laccio odioso, insoffribile, che mi obbligherà a non iscrivere per nessuno. Se non posso sciogliermi da lui, prenderò il partito di lasciar di scrivere intieramente" (Masi, l. c, 271). E così fece. All’età di 58 anni, Carlo Goldoni cessava la sua carriera di scrittore comico italiano.

Ma gli Amanti timidi comparvero di nuovo, alcuni anni dopo, a Venezia. Nei Notatorj del Gradenigo (presso il Museo Civico Correr), in data 4 ottobre 1773, si legge questo annuncio un po’ strano: "Nel Teatro appo S. Angelo fanno udire una nuova Comedia spedita da Parigi dal Sig. Dottore Carlo Goldoni, Poeta Veneziano, già noto; è questa intitolata Gl’Amanti timidi, o sia il scompiglio per li due Ritratti" Recitava a Sant’Angelo la compagnia di Giuseppe Lapy, l’antica compagnia del teatro di S. Luca, e l’astuto capocomico volle inaugurare la stagione autunnale con una novità goldoniana. Non sappiamo bene se il testo della commedia fosse ancora quello del 1765, come par probabile, oppure il nuovo e il solo a noi noto, che uscì a stampa nel t. XVII dell’edizione Pasquali, nel 1778, ridotto dall’autore "a maggiore brevità" dello stesso canovaccio francese, come dice la prefazione (v. pagg. 11 e 12). Di altre recite posteriori si trovano sparsi ricordi: così nel 1809 a Venezia, nel teatro dei Filodrammatici a S. Maria Zobenigo (Cod. Cicogna 3367, presso il Museo Civico di Venezia); così nel 1823 a Milano, nell’Accademia dei Filodrammatici (G. Martinazzi, L’Acc.ia de’ Filo-drammatici, Milano 1879); così nel 1831 a Venezia (10 die, teatro Gallo: serata di Giulietta Alberti) e nel 1834 a Milano (23 genn., teatro Re: serata della Sig.a Laura della Seta) per merito della compagnia Goldoni, diretta da F. Aug. Bon (v. Gazz. privileg. di Venezia e Il Barbiere di Siviglia, anno II, n. 7).

All’autore del Ludro, al più fervente interprete e imitatore del Veneziano, doveva infatti piacere questo amenissimo scherzo, questa farsa spiritosa e delicata, dove anche nella trascrizione dallo scenario alla commedia il Goldoni conservò l’arguta maschera dell’Arlecchino, e più ancora conservò, come nel Servitore di due padroni, l’indole e il genio della commedia dell’arte italiana: la festività, la vivacità del dialogo e dell’intreccio, la crescente meraviglia degli equivoci, il gioco spontaneo degli affetti, quel sapore popolare, quel colorito tra il mondo reale e il fantastico. Per un capriccio fatale della fortuna il riformatore veneziano tornava là dove aveva incominciato. Ecco qui Carlotto, che nello scenario doveva chiamarsi Scappino e corrisponde "al nostro Brighella"