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GLI AMANTI TIMIDI | 55 |
Arlecchino. Ghe l’ho esibìo, e no la l’ha volesto1.
Carlotto. Perch’è superba.
Arlecchino. E la me scrive ste impertinenze?
Carlotto. Perch’è prosontuosa.
Arlecchino. Deme quella lettera. (rissoluto)
Carlotto. Cosa volete farne?
Arlecchino. Avanti che vaga via, avanti che vegna a casa el patron, ho ancora tempo de veder ste impertinenze, e de buttarghe in fazza sta lettera stomegosa.
Carlotto. E un uomo come voi, darebbe in simile debolezza? Non sapete voi che colle donne si ha sempre torto? Non prevedete ch’ella negherà di averla scritta; e che un uomo per offeso che sia, non può gettar una lettera in faccia di una donna, benchè lo meriti?
Arlecchino. Xe vero; ma podere almanco mortificarla...
Carlotto. Eh! via, usate in questo caso la prudenza, e la non curanza. Questa sorta di lettere si disprezzano, si scordano, e per non ricordarsene più, si fa così, si stracciano... (comincia a stracciare)
Arlecchino. No, fermève. (vuol trattenerlo)
Carlotto. Si fanno in pezzi. (seguita)
Arlecchino. Ma no, ve digo...
Carlotto. Si mandano al diavolo, e si sbandiscono dalla memoria. (finisce di stracciare, e getta i pezzi per terra)
Arlecchino. Ma per cossa seu cussì infurià?
Carlotto. Perchè? Per l’amicizia che ho per voi; per l’ira che ho contro simili soverchierie;2 perchè mi spiacerebbe vedervi esposto a novelli insulti, e per insegnarvi come si trattano le lettere di questa specie. Amico, l’avete voluto; vi ho servito secondo la mia intenzione. (parte)