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54 | ATTO SECONDO |
Arlecchino. Mai nissuna de ste cosse.
Carlotto. Ora capisco da che procede la sua animosità; intendo ora il fondamento di questa lettera indegna.
Arlecchino. Indegna?
Carlotto. Ha fatto lo stesso con me. Pretendeva ch’io la servissi, ch’io l’adorassi. Ha veduto ch’io non mi curava di lei; mi ha perseguitato alla morte.
Arlecchino. Camilla?
Carlotto. La signora Camilla.
Arlecchino. Ma cossa disela in quella lettera?
Carlotto. Dispensatemi...
Arlecchino. No; ve prego, disème.
Carlotto. Sentite le belle cose che dice... Già avete inteso che vi rimanda il ritratto, perchè non sa cosa farne.
Arlecchino. Ho capìo.
Carlotto. Seguita dicendo: (finge di leggere) Vi consiglio di darlo a chi fa galleria di cose ridicole...
Arlecchino. El mio ritratto?
Carlotto. Il vostro ritratto. (seguita a fingere di leggere) Io ne faccio quella stima che faccio dell’originale...
Arlecchino. Dell’original!
Carlotto. Ecco qui. De-l’o-ri-gi-na-le. (compitando)
Arlecchino. Capisso benissimo.
Carlotto. Sentite. (come sopra) E se mai aveste la pazzia di credere ch’io avessi della stima e dell’amore per voi, siate sicuro che si burlerà sempre di Voi l’Incognita che vi scrive.
Arlecchino. Cussì la dise? (agitato)
Carlotto. Leggete. (gli offre la lettera. Arlecchino vorrebbe prenderla, e Carlotto con arte la ritira, come se fosse in collera per amor di Arlecchino) Cospetto! Si può scrivere una lettera più indegna, più temeraria di questa?
Arlecchino. E credeu che sia Camilla, che l’abbia scritta?
Carlotto. Non lo so di certo; ma ci giocherei quanto ho al mondo. E poi ella ha avuto il vostro ritratto nelle mani, e non può venir che da lei.