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GLI AMANTI TIMIDI 53


Carlotto. Datemi tempo. Il carattere è indiavolato, cattivo, indegno. (fremendo per altra ragione; poi legge piano)

Arlecchino. (Qualcheduna che se tol spasso de mi. Pazienza! Camilla no credo mai. Voggio ben ch’ella no la ghe pensa de mi; ma no la credo capace de maltrattarme cussì). (da sè)

Carlotto. (Ecco tutto il segreto. Lo ama, e non lo vuol dire. Ecco le belle parole, i bei sentimenti. (da sè, legge) Siate sicuro, che vi amerà sempre la vostra fedele, ma sfortunata Incognita. Oh! Signora incognita, voglio accomodarvi io come va). (da sè)

Arlecchino. Aveu gnancora capìo, aveu gnancora fenìo?

Carlotto. Sì, ho letto tutto, ho capito tutto. (inquieto)

Arlecchino. E cussì, cossa dìsela?

Carlotto. Vi amo troppo per dirvi in faccia il contenuto di questa lettera.

Arlecchino. N’importa; disè quel che la dise. Vu no ghe n’avè colpa.

Carlotto. È una donna che scrive; ma una donna superba, incivile, che meriterebbe di essere mortificata, e mi fa rabbia, e mi si scalda il sangue per causa vostra.

Arlecchino. Cossa mai porla dir?

Carlotto. E mi par di conoscerla; e ci scommetto la testa ch’è quella che dico io.

Arlecchino. Chi credeu che la sia?

Carlotto. A chi avete dato il vostro ritratto?

Arlecchino. A nissun.

Carlotto. Ma se ora ve lo rimandano, qualcheduno l’ha avuto.

Arlecchino. Ve dirò. L’ha avudo in te le man Camilla; ma non credo mai...

Carlotto. Ah sì, l’orgogliosa, la superba! Che si burla di tutti, che sprezza tutti: pretende che tutti l’adorino; e odia quelli che non sanno spasimare per lei. Dite la verità: le avete fatto la corte? L’avete lodata, esaltata? Vi siete dichiarato ammirator del suo merito, incantato delle sue bellezze, spasimante dell’amor suo?