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Conte. (Al Notaro) Veggiamo dunque il contratto... (al Giojelliere che si presenta, e lo saluta) Voi qui? Come? Perchè?
Giojelliere. Signore, vi domando perdono.
Conte. Non vi aveva io detto di ritornare alla fine della settimana? (tirandolo in disparte)
Giojelliere. È verissimo. Ma avendo penetrato che questa sera si faceva da voi la cerimonia del rogito, prendo la libertà di dirvi che se le mie gioje sono poste in opera...
Conte. (A parte) Oh! per costui, non farò la pazzia certamente. (tira con dispetto il Giojelliere a parte, e gli dà lo scrignetto segretamente) Tenete, i vostri diamanti non mi convengono: portateli con voi e lasciatemi in pace. (Il Giojelliere esamina lo scrignetto e parte
Frontino. (Al Conte) Signore, la cena è pronta. Volete ch’io metta in tavola?
Conte. Aspetta: te lo dirò. Accostatevi, signor notaro. (ad Araminta) Madama, sentiamo la lettura del contratto nuziale, e se va bene, noi sottoscriveremo.
Araminta. (Al Conte) Signore, quando io era vedova, poteva disporre da me medesima, senza l’altrui consiglio; ma or ch’io sono rimaritata...
Conte. Voi siete rimaritata? Con chi, madama?
Marchese. Bene, bene, benissimo... Sì, signore, con me.
Conte. (A parte) Che colpo per me terribile è questo! se gli fa donazione, la speranza dell’eredità è perduta, (ad Araminta) E madamigella Eleonora?
Araminta. Amo troppo mia figlia per potermi allontanare da lei senza pena e senza rammarico, e contando sulla vostra rinunziazione, io l'ho destinata...
Marchese. Bene, bene, benissimo... al cavaliere mio figlio.
Conte. (Piano e sdegnoso a Dorimene) (Ah! sorella mia, mi deridono. È un’azione indegna!)
Dorimene. (Piano al Conte) (Ah! fratello, non ve l’ho detto? Avete voluto persistere... ma, badate bene. La casa è piena di gente... abbiate prudenza... non precipitate la vostra riputazione).