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Araminta. Mia figlia, signore? l'ho detto e lo ridico. Io l’amo teneramente, e non voglio porre all’azzardo il suo destino, i suoi beni e la sua tranquillità.
Marchese. (Ad Araminta) Ma... (al Cavaliere pateticamente) udite, mio figlio... noi siamo in uno stato... bene, bene, benissimo... che, per dire la verità... non vi sarebbe che madama che ci potrebbe per me... Eccomi qui il mio cuore, la mia mano, carta bianca.
Cavaliere. Ah! padre amatissimo, sono pronto anch’io a sotto scriverla... mi sottometterò volentieri agli ordini suoi, alla sua volontà, alla sua direzione, (volgendosi verso la scena) Venite, Eleonora, venite. Superate il vostro timore. Venite ad unire le vostre preghiere alle nostre, e procurate d’ intenerire il cuor d’una madre, che non è difficile che per troppa delicatezza1.
SCENA XI2.
Eleonora ed ì suddetti. Madama Dorimene resta in disparte.
Eleonora. (Gettandosi a’ piedi di sua madre) Ah! madre mia amorosissima, voi conoscete il mio cuore. Sapete quanto ho sempremai rispettato gli ordini vostri, la vostra volontà, il mio dovere. Voi m’avete scelto uno sposo: ma una forza invincibile m’impedisce di amarlo. Una inclinazione innocente si è impossessata dell’animo mio. Avrei dovuto dirvelo prima, ma il timore, il rispetto mi hanno finor ritenuta, e non ostante la violenza dell’amor mio, mi era quasi determinata a tutto sacrificare ad una rispettosa obbedienza. Deh! per quell’amore che mi avete sempre portato, per quel tenero attaccamento con cui mi avete allevata, deh! non mi forzate a formare un nodo che io detesto, e che mi renderebbe la più infelice, la più disperata donna del mondo.
Araminta. (A parte) (Povera figlia!.... sento che mi penetra il cuore).