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Dorimene. Ch’egli è prevenuto in favore d’un altro.

Eleonora. Io, madama?... (tremando)

Dorimene. Sì, così è, e la vostra confusione me lo conferma.

Eleonora. (Cieli! mi sarei tradita da me medesima?) (a parte) Che cosa vi andate mai immaginando? (a Dorimene) Lo direte voi a mia madre? Oh cieli! sarei perduta.

Dorimene. No, no. Non temete, figliuola mia, non temete. Malgrado la diffidenza che voi mostrate avere di me, vi amo teneramente, e non son capace di cagionarvi il menomo dispiacere... Ma ecco madama Araminta. Parleremo poi: penseremo: vedremo.

Eleonora. Ah, madama!... (abbracciandola)

SCENA II.

Madama Araminta e le suddette.

Araminta. Ebbene, mia figlia, finirete voi una volta d’importunare madama?

Eleonora. Vi domando perdono...

Dorimene. Sono io, amica, che l’ha pregata di tenermi un poco di compagnia.

Araminta. Voi avete più di bontà per lei che ella non merita. Eleonora è divenuta sì trista, sì ottusa....

Dorimene. Credo che l’aria di Parigi non le sia favorevole.

Araminta. Eh pensate voi! dopo che l’ho fatta sortir del ritiro ove è stata educata, non si conosce più, niente le piace, niente la diverte. Ha abbandonato il gravecembalo, il canto, la lettura, il disegno. Io non ho risparmiato cosa alcuna per farla istruire, e l’ho fatto con estremo piacere, perchè aveva delle ottime disposizioni, ma ora che ella neglige tutto, sento che la collera mi divora. Niuno spende il danaro più volentieri di me, quando è bene impiegato, e niuno più di me si rammarica quando è gettato male a proposito.

Eleonora. (Mia madre ha ragione. Non mi riconosco più io medesima). (a parte