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GLI AMANTI TIMIDI | 29 |
Camilla. Voi non sapete quel che vi dite.
Carlotto. Eh! ora vedremo, s’io so o s’io non so. Anderò dal padrone. (in atto di partire)
Camilla. Fermatevi; venite qua. (Oh che bestia!) (da sè)
Carlotto. Il ritratto nelle mani! Lo contempla, lo adora!
Camilla. Se vi dico la verità, mi promettete di non dir niente a nessuno?
Carlotto. Oh! se mi dite la verità, non parlo con chi che sia. (Sciocca se lo crede). (da sè)
Camilla. È vero; aveva nelle mani un ritratto.
Carlotto. Di Arlecchino; ne son sicuro.
Camilla. Ne siete sicuro?
Carlotto. Sicurissimo.
Camilla. Tenete dunque. Eccolo qui. (gli dà il ritratto di Roberto serrato)
Carlotto. A me si fanno di questi torti? A me che vi amo tanto, e che ho intenzion di sposarvi? E che posso fare la vostra fortuna?1 (prende il ritratto con disprezzo, e lo apre) Come! il ritratto del signor Roberto?
Camilla. Oh! oh! Vede, signor politico, che sa tutto, ch’è sicurissimo, che non falla mai, che indovina sempre? È restato con tanto di naso.
Carlotto. Oh! oh! signora innocente, che crede difendersi, quando più si condanna. Il di lei merito è grande: non è più il servitore, che l’ama; è il padrone. Se non è Pasquino, è Martorio.
Camilla. E avreste ardire di credere?...
Carlotto. Che ardire? Se il signor Roberto non vi amasse, non vi avrebbe dato il ritratto. E voglio dirlo, e tutto il mondo l’ha da sapere. (in atto di partire)
Camilla. No; venite qua, sentite. (Oh povera me! Sono ancora in un maggiore imbarazzo). (da sè)
Carlotto. (Io so come bisogna prenderla). (da sè)
Camilla. Sentite. Vi confiderò ogni cosa; ma per amor del cielo, non parlate. (da sè)
- ↑ Nelle edd. Bolognese e Zatta è saltata una riga; e così si legge: A me che vi posso fare la vostra fortuna?