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GLI AMANTI TIMIDI | 23 |
SCENA V.
Roberto e detti.
Roberto. Cos’è questo strepito? (ad Arlecchino)
Arlecchino. St’omo me fa dar in bestia, signor. L’ha fatto el mio ritratto, senza che gh’el domandà. El s’ha esebio de donarmelo; e adesso el pretende che ghe lo paga1.
Roberto. E quando l’ha fatto? Io non so che tu ti sia fatto dipingere. (ad Arlecchino)
Arlecchino. El m’ha visto, e gh’è vegnù in testa de farlo.
Giacinto. È un ritratto rubato. Questa è la mia abilità.
Roberto. Lasciatemi vedere questo ritratto. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Eccolo qua; mi no ghe l’ho ordenà. (dà il ritratto a Roberto)
Roberto. Non si può dire che non somigli. Ma circa al disegno, signor pittore, ci si conosce la lavatura de’ pennelli.
Giacinto. Somiglia. Ecco la mia abilità.
Roberto. Oh! via, Arlecchino, buono o cattivo che sia, il ritratto somiglia, e bisogna prenderlo.
Arlecchino. Per mi, ghe voleva dar un teston; ma adesso no ghe daria sie baiocchi.
Roberto. L’accomoderò io. Signor abil uomo, signor pittore,2 quanto domanda di questo ritratto?
Giacinto. Ella sa quanto ha pagato il suo.
Roberto. E vorreste mettervi col vostro padrone?
Giacinto. Ciascheduno ha la sua abilità.
Roberto. Pretendereste dodici zecchini? (scaldandosi)
Giacinto. Non signore, s’acquieti; una miseria, una bagatella: per li colori, per l’avorio, per l’acquavite, tre zecchini, tre zecchini, e non più. (con flemma)
Roberto. In verità il lavoro non val tre paoli; ma in grazia della somiglianza felice, siete contento di due zecchini?