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que sul Teatro di Parigi e non ebbe incontro tradotta sui nostri Teatri, ciò proverà l’altra mia proposizione infallibile, che il genio degli ascoltatori Francesi ne Teatri è differentissimo dal genio degl’Italiani, molto più robusto, e non suscettibile ad un’opera di Teatro d’una base leggiera" {Opere del co. C. Gozzi, Venezia, MDCCLXXII, voi. I, pag, 59-61). Le Memorie inutili ripetono il giudizio e la notizia dell’insuccesso in Italia: "Quel comico autore, salva la sua commedia composta a Parigi del Bourru bienfaisant, che servi bene al Teatro Francese e che tradotta in italiano non servi a nulla ne’ nostri Teatri, non fece nessuna opera scenica perfetta e non ne fece nessuna senza qualche buon tratto comico" (ediz. Laterza, 1910, I, p. 206).

La notizia delle prime fredde accoglienze al Burbero fra noi è confermata dal Basseggio. "E tanto veramente locale [questa commedia] che l’autore medesimo diceva di non saperla voltare in italiano. Infatti portata alle nostre scene non fu molto gradita, e così doveva essere" (Tipaldo, X, 283). Se mai, fu freddezza passeggera, e vi avrà contribuito non poco l’interpretazione. Lavoro di stile nuovo che richiedeva specie dal protagonista molto studio e arte fine. A buon conto questa circostanza serve al Gozzi a ripagarsi della lode che del resto nel suo bislacco ragionamento ribadiva la condanna di tutto l’altro teatro goldoniano.

Peggio ancora fece il Baretti nell’intento di contrabbilanciare l’elogio dato alla commedia: "Je conviens que le langage, le bon style et le bon sens sont heureusement réunis à la bonne morale dans Le bourru bienfaisant. Je me réjouissais bien sincèrement, en le lisant, de voir Goldoni si heureusement métamorphosé en écrivain élégant, honnête et raisonnable... Je le félicitais donc, en lisant sa pièce française, sur ce que la société de Paris l’avait si bien réformé en sa qualité d’auteur". Ma, disgraziatamente, l’anno 1776, Goldoni fornisce all’opera di Londra un libretto - Germondo - "un amas de betises insipides" e il Baretti si chiede allora come mai lo stesso autore possa essere ragionevole in una lingua non sua e sciocco nell’idioma materno". N’y auraii-il pas là dessous de la tricherie? N’en aurait-on pas imposé au public en donnant "Le bourru bienfaisant" à cet homme là? (Discours sur Shakespeare, ecc. 1777, pp. 287, 288 in Prefazioni e polemiche, Bari, Laterza, 1911). Questo non si chiama davvero "ritrattarsi riabilitando lo scrittore" come pare al Sanesi, il quale aggiunge ancora "palinodia più completa non si potrebbe desiderare". (Baretti e G., "Rass. Nazion. 1893, pp. 686, 687). E il Carrer esaltando il B. b. lo proclamò capolavoro tale da meritare "gli elogi più sfoggiati de’ più acerrimi nemici" (Saggi sulla vita e sulle opere di C. G., Venezia, 1825, III, 109), cioè del Gozzi e del Baretti ch’egli cita. Ognun vede che "elogi" fossero. Al Baretti tenne bordone Saverio Bettinelli, scrivendo all’Albergati (1 febbraio 1775): "Io sono convinto... che il B. b. né sia né possa essere tutto suo, poiché da questa all’altre sue commedie tutte quante è una distanza infinita" (E. Masi, La vita, i tempi, gli amici di F. Albergati pag. 273). Questo a quattr’occhi, ma nelle Lettere a Lesbia Cidonia sugli epigrammi (1787) esprime lo stesso dubbio: "Goldoni divenne Terenzio in Francia col suo B. b, dopo essere stato Plauto fino alla tarda età in Italia. Dico sua quella commedia, benché chi ’l conobbe d’appresso, non intende come sapendo egli poco l’idioma francese, e poco o nulla