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SCENA VIII ed ultima.
Angelica, Valerio, Dorval ed i suddetti, poi Picard.
Geronte. ( Vedendo Dorval e Valerio, che devono essere un poco indietro, uno presso l’altro) Che! chi è quell’altro? Che cosa vuole?
Marta. (Ridendo) Signore, uno è lo sposo, e l’altr’è... il testimonio.
Geronte. (Ad Angelica) Avvicinatevi.
Angelica. (S’avvicina tremando.)
Geronte. (A Dorval) Venite qui, signor sposo. E bene! non venite? Siete ancora in collera meco?
Dorval. Parlate con me?
Geronte. Con voi.
Dorval. Scusatemi; io non sono che il testimonio.
Geronte. Il testimonio?
Dorval. Sì; ecco il mistero. Se voi m’aveste lasciato parlare....
Geronte. (Riscaldandosi) Mistero? (ad Angelica) Vi è del mistero?
Dorval. (Con tuono serio e fermo) Ascoltatemi, amico. Voi conoscete Valerio, egli intese i tristi avvenimenti di questa casa, egli è venuto ad offrire la sua borsa a Leandro, e la sua mano ad Angelica; Valerio l’ama, la desidera, ed ha formato il progetto di domandarla in isposa offrendosi di prenderla senza dote, e di farle una contradote di dodici mila1 lire di rendita. Vi conosco; so quanto amate le azioni nobili e generose. Son io che lo ha fatto qui trattenere per aver il piacere di presentarvelo.
Geronte. (Vivamente ad Angelica) Voi non avevate inclinazione veruna! Mi avete ingannato; no, non lo voglio, quest’è una superchieria, che non posso e non devo soffrire.
Angelica. (Piangendo) Ah! mio zio...
Valerio. (Supplichevole) Ah! signore...
Costanza. Voi siete sì generoso.
Marta. Il mio caro padrone!...
- ↑ Testo: milla.