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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Marta, Picard. Vengono da due parti opposte.

Marta. Oh! mi consolo; siete già sortito?

Picard. (Colla canna del suo padrone) Sì, zoppico ancora un poco; ma sto molto meglio, la paura è stata maggiore del male, nè meritava certamente il danaro, che mi ha regalato il padrone.

Marta. Qualche volta un male produce un bene.

Picard. Povero padrone! È sì buono! In verità questo tratto di umanità mi ha commosso, mi ha fatto piangere; se mi avesse anche rotta la gamba, glielo avrei perdonato.

Marta. Egli ha un cuore!... E una disgrazia per lui, e per noi, ch’egli abbia qualche difetto1.

Picard. Chi è l’uomo, che non ha difetti?

Marta. Andate, andate a vederlo, non ha ancora pranzato.

Picard. E perchè? A quest’ora?

Marta. Eh! vi sono delle cose in questa casa.... dalle cose terribili.

Picard. Lo so; ho incontrato vostro nipote, e mi ha raccontato ogni cosa, e per questo sono tornato sollecitamente. Tutti questi disordini sono noti al padrone?

Marta. Credo ne sappia una buona parte.

Picard. Prevedo quanto deve essere afflitto.

Marta. Sì certamente, e la povera Angelica?

Picard. Ma il signor Valerio?...

Marta. Valerio! Valerio è sempre qui, non ha voluto allontanarsi, e dalla mia camera, ov’io l’aveva nascosto, è passato all’altro appartamento; egli incoraggisce il marito, consola la moglie, e dà delle occhiate furtive ad Angelica; l’uno piange,

  1. Testo; diffetto.