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Geronte. Io non entro nei disordini di mio nipote, e molto meno nelle pazzie di sua moglie; egli ha le sue rendite; che le consumi, che si rovini, io lo abbandono alla sua stolidezza, alla sua vanità; ma per mia nipote! Io sono il capo della famiglia, io sono il padrone, e tocca a me a darle stato.

Marta. Voi mi consolate, sono estremamente contenta di vedervi con tanto calore prender il partito di questa giovane, che ben lo merita per la sua bontà, e per la sua saviezza.

Geronte. Dov’è Angelica?

Marta. E qui nell’anticamera, ed attende il momento...

Geronte. Che venga qui.

Marta. Ella lo desidera, ma...

Geronte. Che?

Marta. Ella è timida.

Geronte. E bene!

Marta. Se voi le parlate...

Geronte. (Con impeto) Convien ben che le parli.

Marta. Sì; ma quel vostro tuono di voce...

Geronte. La mia voce non ha mai fatto male a nessuno; che venga, che confidi nel mio cuore, e che non badi al suono della mia voce.

Marta. Sì, è vero, vi conosco, siete buono, umano, caritatevole, ma di grazia non intimorite questa povera innocente; parlatele dolcemente.

Geronte. Sì... le parlerò dolcemente.

Marta. Me ne date parola?

Geronte. Te lo prometto.

Marta. (In atto di partire) Non ve lo dimenticate.

Geronte. (Inquietandosi) No.

Marta. Sopra tutto, non v’impazientate....

Geronte. (Con collera) Non ti detto di no?

Marta. (In atto di partire) Io tremo per Angelica. (parte)