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SCENA VI.

Geronte, Marta.

Geronte. (Amicinandosi alla tavola) Mio nipote!... Il signor Dalancour! Sciocco, vano, imprudente! La sua condotta m’irrita... non posso soffrirlo, non vo’ ch’ei venga a turbare la mia tranquillità.

Marta. (Da sè) (Eccolo già di cattivo umore).

Geronte. (Seduto e esaminando ì pezzi dello scacchiere) Quel colpo d’ieri!... Quel colpo d’ieri! Come mai posso aver perduto la partita con un gioco ch’io avea sì ben disposto? Non può esser stato che una distrazione; vediamo un poco... non ho dormito in tutta la notte.

Marta. Signor padrone, m’è permesso di dirvi due parole?

Geronte. (Occupandosi nella disposizione de’ pezzi dello scacchiere) No.

Martuccia. No! eppure avrei qualche cosa d’interessante da comunicarvi.

Geronte. E bene! che cosa hai a dirmi? Spicciati.

Marta. Vostra nipote, la signora Angelica, desidera di parlarvi.

Geronte. Non posso riceverla... non ho tempo.

Marta. Bellissima! È cosa di grande importanza quella che state facendo?

Geronte. Signora sì, madonna sì, per me è di grande importanza, grandissima. Io mi diverto di rado, ma quando mi diverto, non voglio che nessuno venghi a rompermi il capo; hai capito?

Marta. Quella povera figlia!...

Geronte. Che cosa le è accaduto di male?

Marta. La vogliono mettere in un ritiro.

Geronte. (Alzandosi) In un ritiro? mia nipote in un ritiro! Disporre di mia nipote senza parteciparmelo, senza il mio consentimento?

Marta. Voi sapete a poco presso in qual disordine si trovano gli affari del signor Leandro.