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IL GENIO BUONO E IL GENIO CATTIVO | 117 |
SCENA IX.
Betzi e Giovani.
Betzi. Garzoni, portate il caffè a quella signora. Sono sì grandi le spese che si fanno in questa città, che non ostante il guadagno considerabile di questo mestiere, in capo all’anno non si avanza gran cosa; se non mi meschiassi a far qualche matrimonio, non mi vedrei mai cento ghinee al mio comando. Ecco il signor italiano. Si è vestito all’inglese. Non ve n’era bisogno, se avesse saputo che dovea trattar con un’italiana.
SCENA X.
Arlecchino vestito all’inglese, e detta.
Arlecchino. (Affettando la caricatura inglese.)
Betzi. Via, via, signore, non affettate di caricare i ridicoli di questa nazione. Delle caricature se ne trovano per tutto il mondo.
Arlecchino. Me studio de imitar la maniera inglese per piaser a qualche donna inglese.
Betzi. Potete dispensarvene presentemente, poichè ho da proporvi la conoscenza di una signora italiana.
Arlecchino. Italiana? Sì ben, son contento. Con una patriota farò manco fadiga a far conoscenza; ma xela bella, graziosa, zentil?
Betzi. Ella ha tutte le amabili qualità.
Arlecchino. Eia maridada, o putta?
Betzi. Mi maraviglio che mi facciate questa interrogazione. Sapete ch’io non m’interesso per le persone maritate. Ella è libera, come voi lo siete, ed ha come voi la medesima intenzione di maritarsi.
Arlecchino. (Se la xe libera come mi, no la gh’averà intenzion de sposarme). (da sè) E cussì? Dove xela? Quando se lassela veder?
Betzi. Ella è in quello stanzino.
Arlecchino. Andarò donca a trovarla.